Lontani ma Vicini |  i ragazzi dell’Istituto Sant’Apollinare si raccontano

Leonardo Angelini

Liceo Scientifico

Pensieri sul coronavirus

Il coronavirus, il CoViD-19, il virus che da un mese a questa parte è sulla bocca di tutti, e che ha occupato ininterrottamente la prima pagina di tutti i giornali. Perché è nato? Come si è diffuso? Chi è stato il famigerato “paziente zero”? Al momento, gli scienziati hanno poche certezze, e a causa del totalitarismo di alcuni paesi non tutte le verità possono essere scoperte. Quel che è certo è che si è sviluppato nella città cinese di Wuhan intorno a Natale, è stato mantenuto segreto fino a gennaio, quando ormai si era già sparso al di fuori della Cina. Non è chiara la sua origine: si parla di origine animale (potrebbe provenire dai pipistrelli), si parla di arma biologica (potrebbe essere stato appositamente liberato da un laboratorio nei pressi di Wuhan), non ci sono certezze.
In ogni caso a gennaio è stato lanciato l’allarme, e già sono stati registrati casi isolati in Europa. Fra tutti, una coppia di turisti cinesi trovata positiva a Roma: immediato trasferimento in isolamento all’ospedale Spallanzani, misure precauzionali nei confronti dell’albergo dove soggiornavano e del gruppo di turisti di cui facevano parte. Poi più nulla per tre settimane. Il 19 febbraio un 38-enne è stato ricoverato a Codogno per gravi problemi respiratori. E da lì la situazione è precipitata. In poche settimane, la Lombardia era zona rossa. Poi anche il Veneto e l’Emilia-Romagna. E nel frattempo nessuna misura precauzionale, nessuna allerta eccezionale, se non il blocco dei trasferimenti tra il Nord e il Sud Italia. Da cittadino romano, mi sentivo piuttosto tranquillo, il virus sembrava contenuto e sotto controllo, la sua mortalità era bassa (sotto l’1%), colpiva solo le persone più anziane ed era letale solo verso gli individui con patologie pregresse. Mi sono trovato a parlare tramite i social networks con amici della Lombardia, della Puglia, persino dell’Inghilterra. Tutti eravamo d’accordo sull’esagerazione che veniva fatta intorno a questa malattia, che appariva meno aggressiva della semplice influenza, solamente più contagiosa.
Poi è successo quel che è successo, di cui tutti siamo a conoscenza. Prima la chiusura delle scuole, poi la chiusura delle attività commerciali e infine la quarantena. Un climax di provvedimenti, che ricorda molto quello con cui Manzoni nel XXXI capitolo de “I Promessi Sposi” descrive la peste (dalla “non peste”, alla “febbre pestilenziale” alla “peste senza dubbio”). E come in quel caso, per non diffondere il panico, si è cercato di convincersi che la situazione non fosse poi così terribile, fino a quando non è stato troppo tardi per tornare indietro.
Comunque sia, guardarsi alle spalle è inutile. Dobbiamo pensare al presente e, soprattutto, al futuro.
Sicuramente, con le tecnologie e le conoscenze moderne, ben pochi avrebbero potuto prevedere una pandemia. Ma forse, anzi, sicuramente la globalizzazione attuale ha contribuito in modo fenomenale alla diffusione del virus. Se nel ‘300 o nel ‘600 non si avevano le conoscenze e l’igiene odierne, non si avevano neanche così tante occasioni di contatto e di spostamento. È curioso che la generazione di oggi sia tradita dalle stesse cose nelle quali trova vanto. Quindi dobbiamo odiare la modernità, la tecnologia, la globalizzazione? No, assolutamente no. Al contrario: proprio grazie alla tecnologia si può frenare il contagio. Tramite la diffusione di notizie è più facile allertare la massa ma grazie ad Internet vengono facilitate moltissime altre operazioni. Si fa la spesa online, si resta in contatto con gli amici, si guardano i film, si ascolta la musica, si gioca, sempre online. Addirittura si lavora e si fa scuola online. E tutto ciò sicuramente evita che la quarantena sia monotona rendendola persino produttiva. Per quanto sia difficile pensare a questo di fronte a centinaia di morti giornalieri, cerchiamo di vedere tutti questi avvenimenti come un segnale, un’occasione. Un’occasione per stare insieme in famiglia; un’occasione per ritrovare i valori veramente importanti nella vita e le priorità; un’occasione per riscoprirsi cuochi, pasticceri, idraulici, falegnami, atleti, informatici, e potrei continuare per un altro paio di righe. O almeno, io mi sto impegnando per viverla in questo modo, altrimenti non ci sarebbe scampo. Si sa che la paura rende deboli e fragili: per sconfiggere il nemico dobbiamo mostrarci più forti che mai.
Lo ripeto, però: non è affatto facile, soprattutto per chi vive in Lombardia, o in Veneto, o in Emilia-Romagna, e magari ha già perso il cugino, lo zio, la madre, la moglie, il figlio. E il mio pensiero va subito verso gli imprenditori e i commercianti: senza lavoro per un tempo peraltro non definito, continuando a pagare l’affitto. E i dipendenti che non hanno la fortuna dei miei genitori e non possono lavorare da casa? Con l’economia bloccata per un mese, magari due, tre, quante aziende falliranno? E quanti dipendenti saranno rimandati a casa, si ritroveranno con una famiglia da accudire senza un lavoro e magari con un’età troppo avanzata per trovare un altro impiego? Le nostre speranze possono essere delle migliori, ma la realtà dei fatti probabilmente non sarà così rosea… È stata una scelta difficile quella di bloccare l’economia italiana per un tempo ignoto, con una perdita di milioni di euro al giorno (non al mese o alla settimana). Tuttavia meglio questo o meglio la perdita di centinaia di migliaia di vite? Un licenziamento, un fallimento è comunque reversibile: la morte no.
Nuovamente “I Promessi Sposi”, capitolo VIII, l’addio ai monti: “Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne una più certa e più grande”. Dunque, per quanto la frase sia stata pronunciata in un contesto ben diverso, se nella descrizione della peste Manzoni si avvicina molto ad oggi, allora fidiamoci di lui e di Lui.
Si dice che il vero amico si vede nel momento del bisogno; si dice anche “mal comune, mezzo gaudio”. In questo caso le persone a condividere questo dolore non sono due, o tre, ma 60 milioni, solo in Italia. E allora adesso, che siamo in un periodo di crisi, facciamoci valere, non siamo incoscienti ma siamo consapevoli. Facciamoci forza, solo insieme possiamo sconfiggere la malattia.
Questo posso dire di provare in questo momento: voglio godermi questo periodo, fare ciò che posso nel mio piccolo, con la massima speranza verso il futuro. Futuro che però è più che mai incerto.