«Tria corda. Gli Ebrei di Salonicco nelle interviste di David Boder.»

Una pagina poco conosciuta della Shoah
Di Gianfranco Pizzi

Venerdì 24 marzo, nell’Aula Magna del Liceo Sant’Apollinare, davanti al pubblico delle occasioni importanti, si è svolta la presentazione del nuovo libro di Stefania Zezza[1] dedicato alla tragedia degli Ebrei di Salonicco durante la Seconda guerra mondiale.

Ricordo che, nel mio intervento, ho definito il libro una “macchina del tempo”. Sono ben convinto della fondatezza della mia definizione! Una macchina del tempo che ci riporta indietro di quasi ottanta anni e ci mette in contatto, in modo diretto e immediato, con i protagonisti di quella lontana tragedia. Loro, gli ebrei di Salonicco sopravvissuti alla Shoah, oggi non ci sono più, ma le loro parole e le loro testimonianze restano vive e presenti.

Il libro è anche, se mai ce ne fosse bisogno, la dimostrazione che, sulle vicende della Storia, nessuno potrà mai dire di avere scritto l’ultima parola! La Storia è continuo, inesauribile studio, indagine, ricerca, una specie di archeologia del presente.

E infatti, con le caratteristiche di un archeologo del nostro tempo, compare sullo sfondo del racconto la figura del primo protagonista, quel David Boder, che poi non si chiamava neppure così. Il suo primo e vero nome era Aron Mendel, ebreo, nato in Lettonia nel lontano 1886. Una vita, quella di Boder, certamente movimentata, come leggiamo nel libro.

Interessato fin da giovane agli studi di psicologia, si recò a venti anni, nel 1906, negli Stati Uniti, dove venne per la prima volta in contatto con la realtà della emigrazione ebraica in quel grande Paese. Tornato in Russia, studiò psicologia a San Pietroburgo, ma, nel 1919, abbandonò per sempre quel che era diventata la Russia durante la Rivoluzione bolscevica di Lenin e si trasferì in Messico. Dal Messico, nel 1926, emigrò negli Stati Uniti, e lì, preso il nuovo nome, visse per il resto della sua vita dedicandosi allo studio della psicologia e ottenendo poi, come professore, importanti incarichi a livello universitario.

Il nostro professor Boder, da sempre interessato alle dinamiche del linguaggio come strumento di analisi psicologica, nel 1946, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, decise di partire per l’Europa munito solo di un registratore portatile (e di una buona dose di determinazione). Andò allora girando per mesi tra i campi profughi del Vecchio Continente intervistando gli ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio e raccogliendo da loro, nei nastri delle registrazioni, la testimonianza viva e diretta dell’inferno. A pensarci bene, Boder, che va cercando I sopravvissuti alla Shoah in quella Europa del 1946 devastata dalla guerra, evoca l’immagine di Dante che attraversa i cerchi infernali parlando con le anime dei dannati… Con una differenza! Dante parlava con i morti. Boder ci tiene a precisare, in una sua pubblicazione, di non avere «intervistato i morti»!

Le interviste di Boder sono un patrimonio unico e una testimonianza del tutto eccezionale perché conservano nel tempo, su nastro magnetico, le voci e i ricordi di coloro che quella tragedia hanno vissuto e sofferto. Boder realizzò più di cento interviste ma, leggendo il libro, apprendiamo con stupore che questo materiale è rimasto a lungo trascurato e non pienamente compreso.

La “riscoperta” di Boder, definiamola così, è una conquista recente e, a questa riscoperta, porta un contributo determinante il nuovo bel libro di Stefania Zezza. L’autrice, una vera autorità nel campo degli studi storici sulla Shoah, ha sapientemente individuato, raccolto e tradotto in italiano, tra tutte le interviste di Boder, quelle (sono sette!) rilasciate da ebrei sopravvissuti della comunità sefardita di Salonicco che, cacciata dalla Spagna negli anni della Reconquista, viveva in quella città greca dal tempo della scoperta dell’America e che fu cancellata dalla faccia della terra durante la persecuzione nazista.

Colpiscono profondamente il lettore la ricchezza della documentazione e la chiarezza dell’analisi storica condotta dall’autrice. Stefania Zezza, partendo dalle sette interviste, ha saputo ricostruire nei particolari una tragedia immane e quasi sconosciuta, con personale coinvolgimento e umana partecipazione che traspare dalle pagine del libro.

Lo sterminio della comunità sefardita ebrea di Salonicco, ricostruito nei dettagli dall’autrice, come detto, segue lo schema e il “copione” consueto attuato dai nazisti contro gli ebrei nei territori occupati durante la guerra: arrivo dei tedeschi, isolamento e brutali confische, ghettizzazione, deportazione nei campi di sterminio, eliminazione fisica, tentativi di occultamento del crimine.

Da queste sette interviste analizzate dall’autrice emerge però un elemento in più! La tragedia dei sopravvissuti. Quelli che non morirono nei campi di sterminio, cessarono comunque di vivere nelle loro anime e nei loro cuori. L’autrice descrive persone senza più famiglia, né amici, né patria, né identità. È questo aspetto soprattutto che colpisce e commuove il lettore; la tragedia dei vivi, di vite segnate per sempre. Quel senso terribile di dolore, abbandono e solitudine che traspare dalle parole di un sopravvissuto che desiderava incontrare almeno «un altro ebreo nelle strade di Salonicco… e piangere insieme.»

Un bel libro. Da leggere…!

[1] L’autrice, ex alunna e ex docente del Sant’Apollinare, è docente, storica e studiosa di rilievo della Shoah.