Lontani ma Vicini |  Rubrica a cura dei ragazzi dell’Istituto Sant’Apollinare durante il periodo del coronavirus

Di Pinto Mariapia
Liceo Classico

Andrà tutto bene!

Ricordo come se fosse ieri, mercoledì 4 marzo, la notizia delle scuole chiuse, l’esultanza di tutti i miei compagni nel parcheggio della scuola e la mia percezione che qualcosa di grande, di enorme stava per cambiarci la vita. Ma certe sensazioni di solito le si soffoca, si finge di non averle, di essersi sbagliati. E mentre noi ci contagiavamo con la nostra allegria, il virus viaggiava in tutta Italia con indosso una veste invisibile. Come potevamo prevedere che quella felicità fosse soltanto un’illusione? Che quegli abbracci da “ci vediamo domani” non ce li saremmo potuti più dare? La verità è che non lo sapeva nessuno, lo leggevo riflesso negli occhi gioiosi dei miei compagni.
Andava tutto bene.
Preferivamo aspettare, fingere che non ci fosse un allarme vero, uscire la sera per non pensarci, mangiare una pizza tutti insieme e “stare bene”.
“Stare bene” lo ripetevamo a noi stessi, perché a diciassette anni ciò che conta è divertirsi senza intoppi, senza nessuno che ci dica “fermati” “riflettici”. L’impedimento più grande ce l’avrebbe posto davanti il tempo. L’11 marzo, il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, emanò il decreto #IoRestoaCasa che stabiliva misure più stringenti e obbligatorie per tutto il territorio nazionale. Noi continuavamo a galleggiare nel nostro egoismo e alla notizia di dover prolungare la quarantena pensavamo a tutti i progetti infranti, ai piani che avremmo dovuto rimandare per forza, maledicevamo il governo che ci teneva in gabbia inutilmente. Andrà tutto bene?
La gente moriva davvero eppure non ci toccava nel profondo, leggevamo il numero dei morti senza contare la frantumazione di tante vite e di quelle ad esse intrecciate. In un articolo del Corriere intitolato “La poesia delle regole che ci rende dignità nell’ora del dolore”, c’era un passaggio che ribadiva proprio questo straziante dolore che colpisce sia colui che è affetto dal virus che i suoi cari, immobili e impreparati davanti ad una terribile sofferenza come questa:

“Persone amate soffrono e muoiono in una solitudine che stringe il cuore, sia del malato privato della salute e della vita ed anche della mano che lo ha sempre accompagnato”.

Solo dopo la dichiarazione dell’assessore alla sanità della regione Lombardia di attuare procedure di “razionamento” nell’accesso ai trattamenti salva-vita, qualcosa nel nostro animo si è smosso davvero. Forse perché il brivido del terrore della “scelta”, l’inaspettata selezione dei cittadini da salvare e da condannare, ci ha posti a un metro di distanza dal nostro terrore più grande: la morte. Sfiorarne e sentirne la presenza, ci ha paralizzati davanti a tragici eventi come la lunga colonna di mezzi militari che attraversava Bergamo trasportando le salme delle vittime del coronavirus, nella notte del 19 marzo.

No, non andava tutto bene…
La vita doveva andare avanti, nonostante le forti immagini che stavano girando sul web e la continua avanzata del virus verso tutte le regioni della penisola. E’per questo che poco più di due settimane fa, noi ragazzi abbiamo cominciato una didattica a distanza online che avrebbe, in qualche strano modo, dovuto colmare questa distanza che si è instaurata tra di noi. Provavamo a far sì che tutto andasse bene. “Non perdete il vostro tempo” continuavano a ripeterci tutti, come se in fondo non lo sapessimo che non sarebbe tornato più. La realtà è che la sofferenza si fa sentire anche dietro uno schermo, che l’apparente ritorno alla normalità non fa altro che sottolineare ancor di più le mancanze del momento.
Da poco è stata pubblicata su un giornale una famosissima lettera di una dirigente scolastica della provincia di Bergamo, avvilita dagli avvenimenti tragici del periodo e impreparata di fronte alla sofferenza dei suoi alunni
“Il crollo psicologico, il dolore chiuso dentro le case che rimbalza senza poter uscire, nemmeno via web”.
Noi, uomini del XXI secolo, non ci saremmo mai aspettati di non saper risolvere un enigma di questo tipo, di rimanere un passo indietro rispetto alla forza della natura, di rispecchiarci negli atteggiamenti narrati dal Manzoni nel romanzo dei “Promessi sposi”. Ci credevamo indistruttibili, avanzati, pronti ad ogni evenienza ma non c’è preparazione a eventi di tale portata. Eravamo sicuri che tutto andasse bene.

“Datemi una data. Qualcosa che mi permetta di programmare, cioè di illudermi di avere uno straccio di controllo su quanto mi succede. Eravamo abituati a destreggiarci tra scadenze e ricorrenze.”, così Massimo Gramellini scrive in un articolo della sua rubrica “Il caffè” intitolato “Ma quando finisce?”.
La stessa domanda che ci poniamo tutti noi ad ogni risveglio uguale al precedente. Quando finirà quest’incubo? Quando potremo tornare a definire una chiacchierata, una cena insieme, un saluto, un bacio una banalità? Quando il coronavirus diventerà un passato incapace di ferirci ancora? Quando tutto tornerà ad andar bene davvero?
Sono mille le domande ed i dubbi che si annidano nella nostra mente. Il cambiamento fa parte dell’uomo ed io sono convinta che dopo questa strage ci rimarrà qualcosa di indelebile stampato nell’anima. Forse riconsidereremo le nostre priorità, calibreremo nuovamente i nostri principi e valori per vivere una vita piena e basata su sentimenti, emozioni sane che non snelliscono il cuore. Papa Francesco nell’omelia di venerdì 27 marzo, dopo aver invocato la fine della pandemia e rimesso i peccati di tutto il mondo afferma “La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità.”.
Il Santo Padre, usa il verbo “smascherare” per evidenziare come le maschere di un tempo non reggano più di fronte all’epidemia, esigendo da noi l’autenticità che avevamo sotterrato sotto pile d’impegni e programmi più importanti.
Dopo tutto questo non saremo gli stessi e forse sarà meglio così.
Andrà tutto bene.