Lontani ma Vicini |  Rubrica a cura dei ragazzi dell’Istituto Sant’Apollinare durante il periodo del coronavirus

Micalizzi Greta
Liceo Classico

Come cambieremo?

Soltanto fino ad un mese fa, tra amici si parlava di progetti per le vacanze, di sogni per il futuro, dei prossimi “diciottesimi”. Poi, in breve tempo e precipitosamente, ci siamo ritrovati in un’atmosfera surreale in cui ogni pensiero, ogni discorso in privato, sui social, nell’informazione alla televisione o in rete, ha un unico oggetto: la pandemia di COVID-19. All’improvviso il futuro è diventato qualcosa di estremamente incerto, mentre il presente è scandito dai bollettini sulla diffusione dell’epidemia e dalla divulgazione di norme sui comportamenti da tenere. Questa situazione collettiva inedita sconvolge la normalità quotidiana e fa convergere tutti verso le stesse preoccupazioni, destando ansia e sgomento. Giovanni Floris, in un’intervista del 5 marzo, osservava come, nel mondo occidentale, le generazioni attuali non si siano mai confrontate né con la guerra, né con le epidemie, elaborando la convinzione della propria invincibilità. La pandemia che oggi investe un mondo attonito e impreparato ha, dunque, una portata rivoluzionaria in termini sociali, economici e culturali. Repentinamente scopriamo la nostra vulnerabilità pagando, soprattutto in Italia, dei costi altissimi in termini di vite umane. Eppure, nonostante le preoccupazioni, il dolore e i sacrifici, questa crisi potrebbe essere l’occasione per dei cambiamenti in meglio per una società diventata egoista, sorda ai bisogni dei più deboli e incentrata sull’individualismo e su un benessere misurato solo in termini di consumi. Questo rinnovamento potrebbe avvenire sia a livello individuale, personale, con la ricoperta di valori quali la solidarietà e il civismo, sia a livello politico ed economico con un cambio di rotta nei rapporti tra Stati soprattutto all’interno dell’Unione Europea, epicentro del dramma, in questa fase. I pessimisti per quanto riguarda le ripercussioni a lungo termine dell’attuale emergenza, qua e là, si affacciano sulle pagine dei giornali o scambiano fugaci battute allarmate nelle code fuori dai supermercati: l’Unione Europea – dicono – riceve il colpo di grazia con Conte che rifiuta il Fondo salva-Stati (MES) come meccanismo di aiuto invasivo all’Italia in difficoltà; la disoccupazione andrà alle stelle; gli Italiani non rispettano le regole; il servizio sanitario è distrutto; la scuola paga il ritardo nell’uso delle tecnologie; questi danni influenzeranno pesantemente il nostro futuro. Sicuramente è quasi naturale proiettare anche sul domani l’ansia motivata dalle difficoltà del presente, ma proprio l’assumere consapevolezza del fatto che oggi scontiamo gli errori del passato, probabilmente, ci spingerà verso quei cambiamenti che fino a ieri rifiutavamo. L’urgenza del momento, in fin dei conti, sta mostrando una capacità di reagire da parte delle persone e anche dei politici. Due articoli apparsi sui giornali in questi ultimissimi giorni danno speranza in una possibile inversione di rotta nelle politiche economiche e sociali che vanno direttamente ad influenzare il sentire della gente, delle famiglie angosciate perché minacciate nella salute, ma anche nelle proprie finanze. Il 25 marzo Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea (BCE), è intervenuto sul Financial Times esortando con autorevolezza l’Europa a compiere passi in direzione dell’unità: per evitare il rischio di recessione, ovvero di arresto della crescita economica, ha affiancato il nostro capo del governo nella richiesta alla UE di un sostegno all’opera dei singoli Stati affinché possano sostituire il debito privato con un debito pubblico reso possibile grazie all’emissione dei “corona bond” voluti da Conte. La condivisione dei costi non solo della spesa sanitaria, ma anche degli ammortizzatori sociali ai lavoratori potrà garantire la “ricostruzione”, con le aziende pronte a ripartire finita l’emergenza. Certo, ancora l’ultima parola non è stata detta, perché – sebbene la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, abbia invitato i ventisette membri ad agire “con un unico cuore” – “i Falchi del Nord e la Germania – come scriveva ieri su Repubblica Massimo Giannini – la mano continuano a metterla sul portafoglio.” Un segnale positivo, però, è arrivato dal presidente francese. In un’intervista rilasciata a La Stampa, Corriere e Repubblica proprio a seguito delle richieste fatte da Conte al Consiglio europeo, Macron ha invocato la solidarietà dell’Europa allineandosi con la posizione italiana. Particolarmente significativo, pensando al futuro, è stata l’ammissione di colpa rispetto al passato: il capo di Stato francese ha riconosciuto che si tratta di un momento storico per l’avvenire. Se lo schieramento a fianco di Conte riuscirà a determinare la politica di intervento economico non in direzione di un’ingerenza della “troika”, come accadde in Grecia nel 2011, ma verso una condivisione degli oneri, questo momento tragico segnerà un grande passo avanti verso l’unità concreta dell’Europa. L’essersi finalmente ritrovati nella stessa barca, ha persino fatto riconoscere al presidente Macron di aver abbandonato l’Italia di fronte all’arrivo dei migranti sulle nostre coste. Un problema questo che ora sembra spazzato via dalla pandemia, ma che si ripresenterà. Queste dichiarazioni, dunque, gettano il seme per una collaborazione futura su più fronti. Come se anche i potenti della Terra, minacciati nella salute, riescano ad aprire gli occhi sui bisogni di persone molto lontane da loro e dall’irrilevante peso politico. Un risveglio di umanità che, in Italia, ci ha reso sensibili all’operato dei medici e degli infermieri che spesso eravamo pronti a denigrare nelle sale di attesa degli ospedali. C’è chi dice che noi Italiani siamo pronti a speculare sempre su tutto, persino sul commercio delle mascherine e che quindi il nostro avvenire è segnato da un’inguaribile, atavica mancanza di senso civico, eppure, proprio ieri, Sergio Mattarella ha ringraziato per il “senso di responsabilità dei cittadini [che] è la risorsa più importante su cui può contare uno stato democratico”. È vero che, inizialmente, in difesa della normalità c’è stato chi, come Nicola Zingaretti, ha incoraggiato comportamenti sbagliati, quasi che il nemico fosse un nuovo Isis, di fronte al quale dovevamo dimostrare di non aver paura. Quando, però, i decreti del Presidente del Consiglio hanno imposto delle limitazioni alla popolazione, il tam tam del “#iorestoacasa” ha convinto la stragrande maggioranza ad adeguarsi ai nuovi comportamenti. Anche a proposito di tali provvedimenti c’è chi vede una pesante ipoteca sulla democrazia del “dopo-virus” nella misura in cui i decreti creerebbero, così come l’intervento dell’esercito, un precedente pericoloso in direzione di un potere autoritario. Tuttavia, sull’argomento è intervenuto più volte, tra gli altri, anche l’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, affermando che il diritto costituzionale non è leso, trattandosi di una situazione emergenziale in cui prioritario su tutti è il diritto alla vita. Bisogna, perciò, credere che la crescita di senso civico prodotta dall’emergenza si travaserà anche in altri ambiti quando finalmente si tornerà alla normalità. Di fronte alle varie criticità emerse in questa situazione eccezionale, le persone nel privato o sul posto di lavoro, stanno dimostrando di sapersi rimboccare le maniche. Negli ospedali affluiscono volontari per supportare il personale spesso contagiato; nella scuola è decollata, forse anche in maniera troppo frenetica, la didattica a distanza; nelle fabbriche, gli operai protestano contro il cinismo di quegli industriali che hanno fatto di tutto per mantenere aperte attività di produzione non essenziali. Come osserva Marco Revelli in un suo articolo apparso on-line il 23 marzo, questa mobilitazione rappresenta un segnale di vita importante anche in vista di una “ricostruzione”. Le soluzioni emergenziali per far fronte a problemi inaspettati costituiranno un bagaglio di acquisizioni importanti che renderanno migliore la realtà del “dopo-virus”. Questo è un periodo in cui, costrette all’inattività negli spazi spesso ristretti delle proprie case, le persone riscoprono anche l’importanza delle relazioni umane e della riflessione. Il Papa, allora, ci invita a pensare al rischio di impoverimento per molte famiglie ed è un segnale che ispira fiducia nel futuro leggere, affisso all’ingresso di una chiesa, un messaggio in cui si incontrano due pensieri che un tempo sarebbero apparsi inconciliabili: l’invito all’austerità quaresimale passa per le parole di Enrico Berlinguer, leader del Pci negli anni Settanta, che già allora condannava il consumismo, lo spreco e l’esaltazione di particolarismi e dell’ individualismo più sfrenati.